Italia declassata, che succede di Stefania Tamburello Corriere della Sera
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REFERENDUM
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Debiti pubblici, crisi economica e decrescita felice

Analisi della situazione e premesse.

Il debito pubblico non è un problema di cui è stata sottovalutata la gravità. È il pilastro su cui si fonda la crescita nell’attuale fase storica. È indispensabile per continuare a far crescere la produzione di merci. È una scelta consapevolmente perseguita con una totale unità d’intenti dai governi di destra e di sinistra in tutti i paesi industrializzati.

 

Il mito della crescita infinita a debito.

Le speculazioni sui titoli pubblici degli Stati più indebitati avrebbero dovuto da tempo suscitare una domanda che tuttavia non è stata mai posta: come mai negli ultimi anni tutti i paesi industrializzati hanno accumulato debiti pubblici sempre più consistenti, fino a raggiungere nel 2010 valori che vanno da un minimo dell’80% del prodotto interno lordo nel Regno Unito al 225,8% in Giappone?
Nell’Eurozona, nel corso del 2010 il rapporto debito/PIL è salito dal 79,3 all’85,1%. Eppure il Patto di stabilità firmato dai paesi dell’Unione Europea nel 1999 fissava al 60% la soglia massima di questo rapporto. E inoltre: perché gli Stati e le amministrazioni locali spendono sistematicamente cifre superiori ai loro introiti? Perché il sistema bancario induce le famiglie a spendere cifre superiori ai loro redditi? La risposta è intuitiva: perché la sovrapproduzione di merci ha raggiunto un livello tale che se non si acquistasse a debito, crescerebbe la quantità di merci invendute e si scatenerebbe una crisi in grado di distruggere il sistema economico e produttivo fondato sulla crescita infinita del PIL.
Proprio nel tentativo di far ripartire la crescita ed aumentare il PIL, negli ultimi anni in Italia è stata finanziata la rottamazione delle automobili, sono state concesse agevolazioni fiscali per la costruzione di nuove case, sono stati dati incentivi all’installazione di impianti a fonti rinnovabili senza porre vincoli a favore degli autoproduttori né della tutela ambientale, è stata deliberata la costruzione di opere pubbliche tanto costose quanto inutili. Ma gli incrementi della spesa pubblica in deficit non hanno riavviato la crescita, come del resto in tutti gli altri paesi industrializzati, né hanno diminuito la percentuale dei disoccupati, che anzi è aumentata. Insomma, abbiamo speso denaro pubblico, abbiamo aumentato il debito e non abbiamo ottenuto nulla.
Per quale ragione gli stimoli forniti alla ripresa economica attraverso la spesa pubblica non hanno dato i risultati attesi? Perché nei paesi industrializzati lo sviluppo tecnologico ha determinato un eccesso di capacità produttiva che cresce di anno in anno. Macchinari sempre più potenti producono in tempi sempre più brevi quantità sempre maggiori di merci con un’incidenza sempre minore di lavoro umano per unità di prodotto. Per questo la disoccupazione aumenta invece di diminuire. Inoltre queste tecnologie sono molto costose e i macchinari non possono rimanere fermi, perché ne deriverebbero forti danni economici in termini di ammortamento dei capitali e di mancati guadagni. Devono lavorare a pieno regime e tutto ciò che producono deve essere acquistato anche se non ce n’è bisogno. Quindi le tecnologie accrescono l’offerta di merci in misura superiore alla crescita della domanda e ciò comporta una diminuzione dell’occupazione, la diminuzione dell’occupazione riduce ulteriormente la domanda.
Perciò l’unico modo per incrementare la domanda è l’indebitamento. La crescita non è la soluzione. È il problema!
Un’incidenza determinante sull’aumento dei debiti pubblici hanno avuto i costi delle grandi opere pubbliche, deliberate con sempre maggiore frequenza dalle amministrazioni statali centrali e periferiche 2 V Manifesto-appello-IT_Debiti pubblici, crisi economica e decrescita felice 2 non per rispondere a reali necessità, ma con la motivazione esplicita di rilanciare l’economia e creare occupazione. Le grandi opere hanno quasi sempre un impatto ambientale devastante e possono essere realizzate soltanto da grandi aziende che così suggellano la loro alleanza strategica col potere politico che le delibera. Un’alleanza che accomuna tutte le varianti della destra e della sinistra e ha attenuato fino a renderle irrilevanti le loro differenze culturali e di prospettiva politica. Una sorta di ossessione maniacale infarcisce di progetti faraonici, cervellotici e inutili i programmi elettorali di tutti i partiti a ogni livello istituzionale. Più sono grandi, più investimenti richiedono, maggiore è il contributo che si ritiene possano dare alla crescita economica, più alte sono le cifre che possono transitare illegalmente tra i vincitori degli appalti e i committenti. Una indecenza che si ripete ogni volta in occasione di olimpiadi estive e invernali, campionati di calcio, di nuoto, di tennis, esposizioni universali, centenari, giubilei, conferenze internazionali. Le grandi opere che si realizzano in queste occasioni hanno costi altissimi, vengono usate per poche settimane per poi rimanere abbandonate al degrado e all’incuria, non ripagano nemmeno in minima parte le loro spese, riempiono le amministrazioni pubbliche di debiti per più generazioni, le obbligano a contrarre altri debiti per pagare gli interessi sui debiti contratti, le costringono a fare cassa cedendo la gestione dei servizi pubblici ad aziende multinazionali. Il debito pubblico della Grecia, su cui si è scatenata la speculazione finanziaria, ha cominciato a impennarsi in conseguenza delle spese effettuate per le Olimpiadi di Atene del 2004. Se Torino è la città più indebitata d’Italia, lo deve alle spese in deficit sotenute per le Olimpiadi invernali del 2006.
Un ulteriore contributo sostanziale alla crescita dei debiti pubblici è stato dato dall’aumento delle spese militari, che nel corso del novecento hanno sempre avuto un ruolo decisivo nell’assorbire gli eccessi di capacità produttiva rispetto alla domanda espressa autonomamente dal mercato. Dopo la caduta del muro di Berlino nel 1989 e la dissoluzione dell’Unione Sovietica, gli Stati Uniti hanno iniziato ad agire con una logica imperiale, rafforzando sistematicamente la loro presenza militare in tutto il mondo, in particolare nello scacchiere medio-orientale, per tenere sotto controllo i giacimenti di petrolio di cui il loro apparato economico e produttivo ha bisogno per continuare a crescere. L’aumento delle spese a carico dei bilanci statali che ne è derivato, ha progressivamente ridotto i vantaggi economici apportati dal controllo dei flussi di petrolio, cominciando a delineare una situazione che presenta inquietanti analogie con quella che portò alla caduta dell’impero romano, quando le spese militari per tenere sotto controllo le province cominciarono ad essere superiori al valore delle risorse che se ne ricavavano.

(fonte: Movimento per la Decrescita Felice)

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