I comunisti e la loro politica, fatta per immersione, nei movimenti e nel conflitto sociale
Una delle tante fole che hanno libero e purtroppo incontrastato corso in questa indecente campagna elettorale è quella che contrappone – come materia all’antimateria – la politica (tutta la politica) e i partiti (tutti i partiti) alla cosiddetta “società civile” o, variante letteraria e allusivamente più moderata, alla cosiddetta “cittadinanza attiva”.
Questa supposta, irriducibile contrapposizione, propalata come verità rivelata, serve a dare per assodate cose che tali non sono per nulla, anche se solidamente incuneate nel senso comune. Innanzitutto la tesi secondo cui i partiti in quanto tali, nella loro forma organizzata, non sarebbero organizzazioni libere e volontarie di cittadini, ma apparati di potere che hanno usurpato ogni spazio pubblico per perseguire più o meno oscuri interessi privati o di gruppo, quando non degenerano in conventicole di malversatori. Tutti così, inevitabilmente e indistintamente. Non c’è scampo. Le sopercherie e le malandrinate degli uni vengono con consumata malizia spalmate sugli altri, su tutte le forze politiche, come colpe indivise, nella notte nella quale tutti i gatti diventano bigi.
Poi, con uno strabiliante gioco di prestigio, questa supposta “tara genetica” viene attribuita proprio a quelle forze, come Rifondazione, che fanno della militanza sociale nei movimenti la ragion d’essere della propria esistenza. Succede così che lo stigma infamante viene rovesciato su giovani e meno giovani che rivendicano con orgoglio l’appartenenza politica a partiti (sì, a partiti!) della sinistra radicale e che nello stesso tempo partecipano, con generosità e disinteresse personale, alle lotte per la pace, contro la guerra, per i diritti dei lavoratori, degli studenti, delle donne, degli immigrati, delle minoranze etniche e di genere discriminate; che vivono per immersione dentro i movimenti ecologisti; che animano le campagne per la riappropriazione sociale dei beni comuni; che trovi nelle brigate di solidarietà quando si tratta di portare soccorso alle popolazioni colpite da alluvioni e terremoti.
Ebbene, queste persone, questi comunisti che si incontrano ovunque c’è da ingaggiarsi in un conflitto democratico, hanno titolo oppure no, di considerarsi parte di quella “società civile” e di quella “cittadinanza attiva” che vengono invece loro strumentalmente opposte come luogo della genuinità tradita dai partiti?
C’è un esercito di strateghi di questa sofisticata arte della manipolazione che dilaga, soprattutto negli schermi televisivi: giornalisti a libro paga dei partiti maggiori (questi sì coinvolti, in varia misura, in compromissioni e scandali di ogni genere e tipo) che come cani liberati dalla catena si avventano contro il bersaglio che i loro padroni hanno indicato di mordere.
E’ quello che da giorni (da quando cioè il Pd si è accorto che Rivoluzione civile fa paura e potrebbe rappresentare nel futuro parlamento l’ago della bilancia) sta capitando ad Antonio Ingroia, sottoposto ad un’aggressione vergognosa.
E’ di questa mattina (Omnibus, La 7) l’ultimo esaltante episodio di giornalismo embedded. Protagonisti Marco Da Milano (L’Espresso), Marcello Sorgi (La Stampa) e Alessandra Sardoni (La7), i quali hanno trasformato l’incontro con il candidato premier di Rc in una corrida, in un fuoco compulsivo dove il programma di Rivoluzione civile è stato rimosso dagli “intervistatori” per lasciare il posto a comiziesche requisitorie sul criptocomunismo di Ingroia (Sorgi), sulla sua partecipazione al congresso del Pdci (divenuto, nell’approssimativa foga inquisitrice della Sardoni, un comizio), sul suo abbandono della missione in Guatemala (con Da Milano impegnato nel conteggio di giorni, ore, minuti lì trascorsi dall’ex magistrato) e ancora, implacabilmente, sulla scelta di accogliere nella Lista alcuni segretari dei partiti che hanno concorso a dare vita alla coalizione: primizie di giornata, come ognuno può vedere.
A questa sarabanda, più triste che volgare, Ingroia ha risposto con semplice, asimmetrica serenità. Forse anche con un tratto di ingenuità che, come dice il saggio, talvolta diventa una grande forza.
L’insegnamento che ne viene è però che spetta a noi dare impulso, in queste decisive settimane, ad una campagna elettorale che spazzi via menzogne e contumelie, per raccontare direttamente, in mezzo alla gente, quello che Rivoluzione civile propone. Del resto, non è quello che da sempre sappiamo fare meglio? Dal “disservizio” televisivo pubblico non ci si può oggi attendere altro che merce avariata.